Foto: Monte Vettore e Redentore visto dal Monte Sibilla
Questo comunicato nasce di getto i giorni seguenti le prime scosse del 26 ottobre. Prima della pubblicazione si è scatenato il sisma di domenica 30 che ha ulteriormente aggravato lo scenario dell'emergenza in un'area territoriale molto più estesa, che ha investito diffusamente centri medio-grandi e un numero elevato di paesi e centri minori. La vastità della zona colpita restituisce inevitabilmente un quadro incerto e incompleto circa l'esatta valutazione delle conseguenze e delle relative necessità. Numerosi piccoli Comuni stanno ancora attendendo l'arrivo dei soccorsi e gli abitanti stanno organizzando autonomamente centri di raccolta e punti di ristoro. Riteniamo che la solidarietà dal basso sia solidarietà vera ed efficace unicamente se capace di rispondere ai bisogni e alle esigenze reali delle popolazioni. Nelle prossime ore, verificando le informazioni e alla luce di un contesto più definito valuteremo quali iniziative utili abbia senso intraprendere in collegamento diretto e in relazione alle necessità delle comunità colpite.
A quasi due mesi esatti dal sisma del 24 agosto la terra dell’Appennino marchigiano è tornata a tremare con forza. Il 26 ottobre due scosse in rapida successione, prima dell’evento sismico principale di domenica 30 ottobre, hanno ricordato all’Italia ed al mondo che in quella zona l’emergenza non era mai finita.
Come avevamo previsto (a dire il vero era piuttosto facile), il terremoto era gradualmente scomparso dai media mainstream fatti salvi gli spot referendari del premier. Ma per le popolazioni di Marche, Lazio, Umbria e Abruzzo più vicine all’epicentro, il terremoto non aveva mai cessato di essere una presenza ingombrante e angosciante, sia per i danni materiali presenti sia per le continue scosse più o meno significative che si sono susseguite in questi mesi (migliaia).
Le scosse del 26 e del 30 ottobre hanno ulteriormente provato un territorio già in ginocchio, inoltre l’epicentro spostato più a nord rispetto ai precedenti fenomeni ha amplificato i danni anche in aree che prima erano state interessate in maniera più marginale. Anche se questa volta fortunatamente non ci sono state vittime, i danni alle strutture nell’area dell’alto maceratese sono stati notevoli, ampiamente superiori alle scosse di agosto. Non staremo a fare l’ennesimo elenco delle città coinvolte e delle relative foto che avrete visto ovunque in questi giorni. Anche perché purtroppo è ancora presto per fare la conta dei danni, visto che le strutture lesionate sono centinaia e i sopralluoghi richiederanno molto tempo. Una cosa appare chiara però fin d’ora: avendo toccato centri notevolmente più popolosi, gli ultimi eventi hanno “toccato” un numero più alto di persone rispetto al precedente.
Oltre alle abitazioni, queste scosse hanno dato un ulteriore colpo al turismo locale, che faticosamente e con spirito di sacrificio, si stava rialzando in vista della stagione invernale. Altre strutture ricettive sono state rese inagibili e le poche ancora funzionanti si sono da subito attrezzate per aiutare la popolazione locale rimasta in zona.
Il quadro è tuttora chiaramente in continua evoluzione: mentre stiamo scrivendo gli abitanti dell’Appennino continuano ad affrontare scosse con una frequenza di circa una ogni 5 minuti.
Qualora ce ne fosse stato bisogno questo sisma ha ricordato a tutti che il territorio del centro Italia, ma più in generale quello italiano, è ad altissimo rischio idrogeologico. Ed in questo senso non è più accettabile che si continui ad agire solo dopo terremoti, inondazioni o altri eventi naturali con il solito approccio emergenziale che inevitabilmente comporta maggiori danni e costi sia a livello umano che ambientale.
La necessità di un piano di tutela e di messa in sicurezza del nostro territorio che ci faccia risparmiare eventi dalle conseguenze catastrofiche come questi ultimi, è evidente e incontrovertibile, e sembra paradossale che il governo Renzi - in stretta continuità coi governi precedenti – persegua politiche di investimento e finanziamento di opere faraoniche, inutili e spesso dannose.
Per questo dalle Marche chiediamo con forza che tutti i fondi previsti per finanziare le oramai palesemente assurde ed anacronistiche grandi opere vengano destinati ad un piano di ricostruzione e messa in sicurezza del territorio. Non siamo più disposti ad accettare investimenti in opere come il ponte sullo stretto di Messina o il TAV in Val di Susa che oltre che a devastare un territorio puntualmente si dimostrano volte esclusivamente a gestire speculazioni e giochi di potere (per non parlare dei relativi risvolti di malaffare e corruzione).
Il nostro vuole essere un NO a questo modello di sviluppo. Un NO alla devastazione e al saccheggio che il capitalismo predatorio alimenta, dalla Val di Susa alla Sicilia, passando per le Marche.
Mettere in sicurezza abitazioni e strutture di chi vive e lavora nei territori è una priorità assoluta e non più prorogabile.
A partire dallo Sblocca Italia, le scelte governative in materia ambientale ed economica hanno alimentato e approfondito il processo di devastazione e di espropriazione che le grandi opere impongono ai territori. Renzi e il Partito Democratico hanno la responsabilità politica di queste scelte, troveranno il nostro NO sulla loro strada.
Centri Sociali Marche