Impressioni di ritorno a Idomeni
di Simone (Csa Sisma) e degli altri attivisti della carovana. Staffetta #overthefortress
Foto di Chiara Pietroni
#04 - 22 maggio 2016 "Anime di fango" (di Chiara Pietroni)
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Esiste un luogo, un limes, all’interno della moderna e democratica Europa, dove si viene trafitti da una lirica potentissima: quella del fango.
Ad Idomeni, in questa minuscola porzione del nulla, Pasolini avrebbe potuto scoprire un’ennesima borgata costruita da mattoni di miseria, disperazione e polvere. Tale visione avrebbe a tal punto inorridito il senso morale dello scrittore e a tal punto sollecitatone il genio letterario da spingerlo, forse, a scrivere un altro immenso romanzo appartenente ad un genere ben specifico: quello della lirica, della lirica del fango, appunto.
Idomeni è il limes per eccellenza: il reticolato posto a nord della piccola stazione ferroviaria segna il confine tra un al di qua e un al di là terribilmente significativo, vitale senza voler usare eufemismi. A nord vi è il futuro, la conciliazione di anime e intenti, il proseguimento di un’esperienza vitale trattenuta come in un interminabile e lancinante singhiozzo. A sud del confine vi è un immenso campo arso dal sole, tormentato dal vento, inondato dalle frequenti piogge che, inospitale, accoglie nel suo manto di terra, perennemente sospesa, migliaia di vite, temporaneamente messe in attesa, momentaneamente illegittime, indesiderate, non ammissibili, indisponibili.
A nord ciò che è possibile intravedere, reso accecante da un sole stranamente sempre benigno, è la forma evanescente ma pesantissima di tutti i progetti, i volti, i desideri, i sensi e le preghiere che trasmigrano cocciute e caparbie da sud, dal popolo del purgatorio.
Già, perché Idomeni è la porta d’accesso verso paradisi artificiali o ben reali e, contemporaneamente, la soglia del più insostenibile inferno quotidiano. Come ogni accesso verso dimensioni superiori, il purgatorio di Idomeni richiede, prima dell’ultimo viaggio, di liberarsi di tutto ciò che d’accessorio potrebbe compromettere il salvifico tragitto. Per accedere al nord, al bando tutte le zavorre vitali!
Le anime di fango hanno dunque fatto a meno di quel rifugio chiamato casa: vivono in minuscole tende, disordinatamente piantate le une accanto alle altre, rendendo la visione d’insieme del campo di Idomeni una distesa di inquietanti fiori ipertrofici.
La prima rinuncia richiesta rappresenta, quindi, la stabilità per eccellenza: le quattro mura di una casa. Già, perché la tenda si muove, vive e pulsa come coloro che ospita: prende il largo nel fango nei giorni intensi di pioggia, prova a raggiungere il cielo non appena una raffica di vento implacabile ne solletica le pareti, diventa glaciale di notte ed infuocata nei pomeriggi assolati, rende impossibile lo sguardo con le sue paratie inespugnabili. Le anime di fango conducono, quindi, una forzata vita all’aperto, un’infinita ora d’aria obbligatoria: è nell’immenso campo che cucinano, scavando enormi buche dove poter bruciare della legna, che discutono, ricercando disperati lembi di ombre altrui, che vivono in sospeso.
Le anime di fango hanno dovuto rinunciare anche alla libertà del “subito”. Ad Idomeni il tempo è scandito solo dall’attesa e dalla sua declinazione più prossima: la fila. Occorse mettersi ordinatamente in fila per tutto: per ritirare il proprio pasto, per fare un doccia, per vaccinare il proprio figlio, per andare di corpo, in generale per vivere.
Altra restrizione da parte del purgatorio che li ospita è relativa alla libertà di movimento: nessuno può muoversi oltre Idomeni: il panorama è imposto e nessuno può riempirsi gli occhi di altro. La scelta paesaggistica compiuta e ristretta non è negoziabile. Il mondo nasce e muore tra le due rotaie, l’edificio della stazione, il boschetto, i bagni chimici, la costruzione fatiscente ad est del campo principale, il parcheggio con il camioncino delle bibite, la stradina del minimarket greco ed il filo spinato messo a protezione dell’estremo limite del confine. Muoversi all’infinito in un pugno di fango. Questo sì, è concesso.
Si chiedono, poi, alleggerimenti diversi in base al tipo di anima di fango che giunge ad Idomeni:
Gli uomini, per soggiornare nel purgatorio devono rinunciare alla loro capacità decisionale,al la fierezza dello sguardo, alla soddisfazione ed al sudore di un’intensa giornata di lavoro. Tornano nelle loro barche di plastica stanchi d’inerzia, con il volto avvizzito da un implacabile sole, con le mani vuote. L’infinita giornata è stata improduttiva come tutte quelle che l’hanno preceduta e come tutte quelle la seguiranno. Non ci sono racconti da fare ai bambini, raccomandazioni da impartire alle mogli, eventi per i quali vestirsi a festa.
Alle donne, invece, viene richiesto di rinunciare a tutto quello che ne contraddistingue la bellezza più visibile e caratteristica. Anime di fango dai capelli impiastricciati, con ai piedi dei coturni di fango, circondate da un nugolo di bimbetti scalzi. Addio seduzione, addio orgoglio, addio bellezza, il fango le ricopre più pesantemente di un velo.
Ed ecco, infine, il girone dei bambini. Idomeni è un asilo straziante: ve ne sono a migliaia, tutti molto piccoli, dagli occhi enormi arrossati dal vento, i capelli spettinati, le faccine sporche di terra così come le mani e i piedini troppo spesso scalzi o imprigionati in enorme calzature, i vestiti tagliati alla meno peggio sui loro corpicini esili, perennemente feriti ed arsi dal sole. Il purgatorio di Idomeni ha sollevato i bimbi da un vezzo molto occidentale: l’infanzia. Gironzolano spesso da soli, giocando tra le buche, gli escrementi e le tende. I più grandicelli già collaborano attivamente agli obblighi familiari trasportando pesantissime taniche di acqua, scegliendo una delle infinite file da fare per una qualsiasi minuscola cosa, tagliando pezzi di legna con arnesi arrugginiti e pesantissimi, lavando, in sporche tinozze, il proprio corredino di fango. Il tempo del gioco è minimo, solo quello concesso delle necessità biologiche. Disegnano passaporti, pistole e sangue. Mimano impiccagioni, sgozzamenti e morti. Sciorinano lutti familiari con annoiata compostezza. Finito il gioco è tempo di ritornare seri, proto adulti: ci sono preoccupazioni da condividere, ordini da trasmettere, novità da riferire. E poi cala la notte e tutti fanno ritorno nei loro bui sacchi di plastica aspettando il sorgere di un nuovo inutile giorno.
Ma come accade in tutti i luoghi abitati da esseri umani, anime di fango o europei moderni, anche nel purgatorio di Idomeni è possibile trovare eccezioni al sistema di alleggerimento imposto per varcare il limes. Nascosti tra i fiori marcescenti di plastica, esistono adulti che non hanno barattato nulla del loro mondo, dei loro valori e delle loro speranze; che ancora sorridono e hanno la voglia di condividere un pasto con estranei privilegiati venuti ad osservare questi strani esuberi del consorzio umano; che mostrano fieri il loro passato e danno realtà, con la sola intonazione delle voce, ai sogni futuri. Esistono donne di un’eleganza insolita ad Idomeni, truccate come per un giorno di nozze, altere e belle come solo l’Oriente riesce a plasmarne. Si palesano bambini che aprono le braccia ad ogni sorriso e che tentano di scalare quei corpi estranei che a loro si protendono, desiderosi di giocare nel modo più ancestrale e naturale possibile.
E’ la vita che pur si muove, strisciando tra singhiozzi infiniti che rende così umano un consorzio tanto disperato. E se il purgatorio non aprirà le porte, dopo tanta attesa, comunque vive resteranno queste anime di fango. Vive a tal punto da accecare questa folle e bestiale parte di mondo che bestemmia contro se stessa, erigendo barriere e sacrificando l’Altro-se stesso.
Frame di Marco Di Battista |
#03 - 18 maggio 2016 (di Simone Romiti)
10.000 persone, la maggior parte famiglie e moltissimi bambini. In movimento verso un posto al mondo in cui vivere liberamente eppure fermi da mesi di fronte ad un confine blindato da filo spinato e militari. Molta frustrazione, poca speranza ma grande volontà di compiere un progetto di vita. Nel particolare scorrere del tempo in questo luogo si esprimono un tripudio di emozioni e relazioni; gioia, collaborazione, intrapendenza, delusioni, paure, amicizie, abbandoni. Il questo posto si affronta una vita che inevitabilmente lascia segni. Donne e uomini cercano di impiegare produttivamente il loro tempo che scorre indeterminato, mentre ragazzi e bambini crescono nel campo di Idomeni.
Eppure le intense relazioni che si creano con gli abitanti del campo non possono essere sufficienti nella condizione di chi è inserito in un luogo di confinamento come Idomeni. L'aiuto materiale, il supporto umano, l'amicizia confidenziale che inevitabilmente riguarda la presenza di attivisti e volontari sono necessità che si costituiscono come ambito esperienzale e relazionale per una forte rivendicazione di diritti. La campagna OverTheFortress ha proprio questo significato. La costruzione di uno spazio politico che passa attraverso e oltre l'aiuto solidale nelle situazioni di emergenza.
Al campo di Idomeni la costruzione di relazioni sociali concrete, l'amicizia, gli affetti hanno ben poche possibilità di contrapporsi all'oppressione perpetrata dal carattere artificioso della nazionalità. Senza la tutela di una cittadinanza, la dignità che eleva l'uomo a persona tramite l'acquisizione di diritti è sostanzialmente negata. Alla base della divisione tra chi è “incluso” e chi “escluso” c'è la costruzione di un doppio regime giuridico che nega la condivisione di un mondo comune. E se cosi è, allora il riconoscimento della dignità delle persone migranti ha come principale problema quello della condizione giuridica e politica rispetto alla quale esse si pongono in rapporto con le persone dotate di cittadinanza.
Tramite la campagna OverTheFortress vogliamo dire qualcosa sulla relazione che si stabilisce tra chi è dentro una società e chi vuole entrarci, perché parlare di migranti significa in fin dei conti parlare di noi stessi in relazione ai migranti, e questo rivela la natura della nostra società. In contrapposizione all'inaccettabile condizione dei migranti confinati e deportati dalla Fortezza Europa non possiamo non rivendicare la possibilità di affermazione di una pluralità che è strettamente legata alla costruzione di una sfera politica in cui agire contro l'annientamento delle libertà e dei diritti.
Molti degli amici che vivono al campo sono convinti di questa necessità e le loro proteste pacifiche vogliono manifestare proprio l'incomprensibile ferocia con cui l'Unione Europea impedisce loro la possibilità di una vita dignitosa. A Idomeni è chiaro che anche solo rimanere e decidere di non muoversi nei campi governativi rappresenta un'azione politica, così come l'occupazione dei binari ferroviari che il governo greco vorrebbe liberi per far passare dei treni merce non è qualcosa di rinunciabile da parte dei migranti. Nonostante il misconoscimento che le autorità europee praticano nei loro confronti, gli abitanti del campo continuano a rivendicare la loro partecipazione attiva ad un mondo a cui appartenere ed in questo la loro e la nostra voce sono unite, nella costruzione di una vita attiva che trova il suo spazio all'interno di un mondo comune.
Foto di Giulia Falistocco |
#02 - 06 maggio 2016 (di Simone Romiti)
Al campo di idomeni stiamo passando giorni di intenso lavoro. La protesta di ieri e il vento della sera precedente ci hanno costretto a rallentare i lavori per la costruzione degli spazi riservati alle donne. Nei giorni precedenti è stata creata la struttura con docce (articolo - foto), oggi, con la presenza fondamentale di Alessandra, Francesco, Stefano e Baba, artigiano curdo siriano che vive al campo, dopo aver terminato la zona estetista parrucchieria autogestita dalle donne del campo, abbiamo avviato i lavori per lo spazio sociale in cui ci sarà possibile utilizzare energia elettrica. le tre strutture sono sistemate a formare una zona centrale all'aperto che da l'idea di piazza come luogo di transito in cui incontrarsi e conoscersi, anche tra donne di etnia diversa. ci sono molte aspettative da parte delle donne che aspettano l'apertura di questo loro spazio sociale e c'è molta curiosità da parte di migranti e volontari presenti nel campo che passano a trovarci per aiutarci o anche solo per informarsi su cosa stiamo costruendo e come procedono i lavori. Un uomo siriano dopo aver ascoltato i motivi del nostro lavoro ha risposto con un sorriso amaro, dicendo: "Che costruite a fare, tra poco ci mandano tutti via con la forza". infatti la risposta delle autorità alla manifestazione di ieri è stata l'ennesima distribuzione di volantini del governo greco che invita gli abitanti del campo a rimuovere le loro tende dalla linea ferroviaria per consentire il passaggio di treni merce, ricordando, come era stato avvisato con altri volantini, che ad ogni modo il campo verrà sgombrato entro il 31 maggio. il governo greco vorrebbe che i migranti scelgano di muoversi nei campi governativi per poter adempiere all'accordo europeo con la Turchia sulla gestione dei migranti. I migranti invece hanno seri dubbi se si tratta di consegnare il loro futuro alle autorità che li costringe in questa parte di confine e temono la cattiva gestione di questi campi da parte della polizia.
Foto di Simone Romiti |
#01 - 04 maggio 2016 (di Simone Romiti)
A distanza di un mese dalla carovana Overthefortress che ha portato 300 persone da tutta italia nel campo di Idomeni, oggi tornare in questo luogo, ritrovare i compagni che stanno mantenendo la staffetta, rivedere i visi di bambini, ragazze e ragazzi già incontrati è qualcosa di piuttosto ambiguo.
Il campo resta, i mesi di permanenza di chi abita questo spazio aumentano. La tensione cresce e lo si capisce non solo dalle frequenti urla che provengono dalle interminabili file per un pasto. Si capisce che vivere nella condizione di paria per tanto tempo corrode la vita. Il progetto europeo di sistematizzare l’inaccettabile azzeramento dei diritti e il confinamento di donne e uomini ricorda i tempi più bui della storia europea contemporanea. Qui è consentita solo la nuda vita, quella biologica.
La skype call per la domanda d’asilo, unico brandello di una capacità giuridica macellata, continua a non funzionare da troppo tempo. I diritti umani sono alla mercé della tracotanza del potere. Qualcuno ha responsabilità, gravi, in tutto ciò. Gli stati nazione perpetrano l’antico rito che li vuole purificati da chi non possiede una cittadinanza formale con la complicità dell’ Ue colpevole di stringere le mani insanguinate di tiranni oppressori di popoli.
In questo però rimane anche #overthefortress, insieme agli altri volontari e attivisti, che continua a produrre solidarietà dal basso con il progetto wifi, con gli spazi per donne autogestiti, tessendo relazioni di cooperazione reale con chi è confinato in queste tende. Fare questo significa agire esattamente dove il potere si spoglia di ogni velo rivelando la sua brutale intimità e l’urlo che genera è quello dei no bordersla cui eco ha valicato il Brennero, è risuonata a Roma nei palazzi dell’ambasciata turca e tuonerà ovunque ne rintracci i suoi responsabili.
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